he deve essere esercitata da persone competenti in pedagogia, nella materia di insegnamento e che abbiano accompagnato il docente nel suo lavoro in classe. Non può essere affidata a un plotone d’esecuzione (Il dirigente, due docenti, un genitore) che annusa i si dice, raccoglie persino le calunnie, che accompagnano sempre la vita di ogni insegnante. Ma che non vede, che non sa quale sia, il suo impegno quotidiano nella classe, tra gli alunni, tra i suoi ragazzi. È come se un grande ospedale affidasse a un capo del personale e a un ortopedico il compito di valutare la qualità di una ricerca per combattere il cancro. e di assumere o non assumere i ricercatori che l’hanno realizzata.
Manca del tutto, nella legge, un’idea della formazione per chi è nato nel terzo millennio. Servono più materie, più nozioni da apprendere, più test da superare? No. La matematica si insegna daccapo al’università, così la filosofia, o il latino, o il diritto. Quello che serve ai nostri ragazzi è una cultura civica, repubblicana, serve educarli al confronto e al rispetto, serve offrirgli una formazione logica polivalente. Sapete, sia la scienza umanista -come la chiama Renzi- sia la matematica possono essere gioco, fantasia, stimolo a confrontarsi con la logica, con il pensiero che si articola nelle forme diverse. Musica e Matematica, Latino e il diritto romano, magnifico esempio di inclusione. È un metodo quello che serve, non una litania di regole. Perchè dopo la licenza, magari a 18 anni -cioè un anno prima, come succede in altri paesi- i ragazzi possano scegliere come e dove continuare a studiare, quale occasione prendere al volo. Ancora di più tale ragionamento vale per l’industria. Credete che a Reggio Emilia, nel distretto detto della Meccatronica, serva uno che ha imparato a fare sempre la stessa operazione al tornio? No, gli serve un ragazzo con la mente aperta, disposto a cambiare funzione, a mettere nel prodotto quel valore aggiunto che nel mondo chiamano produttività.
Nella riforma non c’è un’idea, non si indica una mission per la scuola pubblica. Ricorre spesso,invece, una parola magica:autonomia. Ma l’autonomia senza un forte investimento perequativo -che manca- separa i destini delle scuole di serie A di quelle di serie B. Queste ultime, nei quartieri disagiati, daranno certo vita a tanti progetti, che libereranno pro tempore l’insegnante dal calvario dell’insegnamento e daranno punti e meriti al dirigente. Certo queste scuole, inviteranno le aziende, se ce ne sono intorno, a reclutare mano d’opera dequalificata. Forse innalzerammo la soglia minima dei voti, per rifare il blasone alla scuola. Nella migliore delle ipotesi queste scuole proporranno, in salsa 2016, quel vecchio avviamento professionale che Gentile immaginava nel 1923.
E nei bei quartieri? Apparentemente un’altra musica: il dirigente riuscirà ad attirare e gratificare i professori migliori e giù più discipline, nuove discipline da studiare, nell’illusione di poter garantire ai figli della classe media almeno il mantenimento del loro antico status sociale. Illusione. Perchè la proletarizzazione dei ceti medi, in Europa e in America, mi sembra inarrestabile. Mamme, potrete mandare a lezione tutta la vita i vostri ragazzi, ma non potrete garantirgli di diventare notai, grandi medici o archistar. Meglio sarebbe se, insiema all’’umile, imparassero la logica, le lingue e lo spirito civico. Potrebbero poi cogliere la palla che gli offre l’Eni, quando assume un filosofo per studiare gli scenari in Africa, o un ospedale americano che cerca medici che siano anche ingegneri, o il Cern che ha bisogno di intelligenze elastiche atte al lavoro di squadra.
Di tutto questo nella legge non si parla. C’è invece, un messaggio, chiarissimo, all’insegnante: stai punito. Diritti? No, doveri? Contratto nazionale? Meglio cadeaux dal governo, premi, assunzioni dirette ma a condizione che tutti i docenti entrino, via via, nell’organico detto dell’autonomia e si sottopongono al comando del dirigente, longa manus del potere del governo. Tutti in fila, col cappello in mano. E questi insegnanti dovrebbero essere maestri per i nostri ragazzi? Politicanti della scuola, ecco cosa diventerebbero.
Onorevoli senatori. Mentre il governo rinvia la riforma del catasto -pare che i consulenti non avessero detto al premier che a Napoli per un alloggio popolare si sarebbe pagato 6 volte di più e a Roma 4 volte-, mentre si balbetta sulla questione morale nascondendosi dietro un garantismo peloso, e ancora non è arrivata neppure la sospensione per De Luca, ecco che si sceglie di passare un forza sulla scuola. Per colpa dell’ostruzionismo delle opposizione? No, il presidente Marcucci non ha mai usato quel termine. Me lo diceva stamani, c’era il senatore Calderoli accanto. È Repubblica che glielo avrebbe messo in bocca Forse facendo confusione tra le risposte di Marcucci e le veline quotidiane che arrivano ai giornali da Palazzo Chigi.
Questo atto di forza, con le scuole chiuse (e il confronto rimandato a settembre) serve per nascondere l’incapacità del quotidiano governare -e l’immigrazione e mafia capitale e l’irrilevanza dell’Italia nel dossier greco- Il Premier si confronta con la difficoltà del governare - e beninteso la colpa non è sua, è difficile governare senza una burocrazia efficiente e quando manca un senso etico diffuso. Ma serve anche per rilanciare la promessa renziana: governerò, se il Parlamento mi darà le deleghe su ogni cosa, se la nostra democrazia si sarà ridotta all’elezione diretta di un premier salvatore della patria, inamovibile per 5 anni.
La scuola è vittima di questo azzardo. Renzi aveva capito, aveva promesso a Porta a Porta di fermarsi e discutere. Poi ha prevalso la voglia giacobina di passare in forza a costo di regalarci una legge di cui si può dire solo che è vecchia, sbagliata e dividerà la scuola.
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