«Bel titolo Il gioco della bottiglia, però voglio dirti che lo facciamo ancora con i baci e non solo con l’alcol, tranquilla, non tutto è perduto!»
L’ironia di Martina che ha 17 anni, porta shorts estate e inverno e i capelli lunghi fino ai fianchi, mi fa venire in mente i pezzi del Pagante dove la gente sboccia, balza, fa after dove abbonda l’enfasi su comportamenti poco corretti ed è un’evidente esagerazione a uso dei ragazzi e a dispetto degli adulti. Con lei voglio parlare di ragazze, sesso e alcol. Davvero è necessario bere per sentirsi libere di fare sesso, sondare desideri non convenzionali o anche solo semplicemente essere un po’ più sfrontate di quanto non sia considerato opportuno?
«Ti racconto il mio punto di vista che non vuole essere esemplare, ma è quello che conosco meglio. Tra noi adolescenti, almeno nel mio gruppo, la cosa più importante è quello che pensano gli altri. Ubriacarti – o anche fare finta di essere ubriachi, lo so è patetico, ma succede soprattutto tra le più piccole – è un modo per farti qualcuno che piace a te ma non ai tuoi amici. Così quando ti diranno: ma come hai fatto a baciartelo! Tu puoi sempre dire che non ci stavi con la testa e hai risolto. Pensa che ho usato questo sistema per fidanzarmi con un tipo che le mie amiche trovavano bruttissimo ma a me faceva sesso. Sarà che era più grande di parecchi anni, aveva la macchina, andavamo al ristorante, mi faceva ridere ed era gentile, insomma un figo. A loro, che mi facevano sempre il pezzo su quanto era brutto, dicevo: “Eh, ma quando sto con lui bevo e non me ne accorgo”. Ovvio che non era vero, era una presa in giro reciproca, ma ci stavano, quindi va bene così, un’ipocrisia condivisa.»
Martina si ferma e mi guarda negli occhi, annuisce come per accertarsi che mi sia chiaro questo suo discorso. Ricambio con un cenno del capo e lei continua: «Questo però non prenderlo come uno stereotipo sulle ragazze. Riguarda tutti. Vale per le femmine e per i maschi. Anche i miei amici usano la stessa scusa per farsi delle ragazze che magari non sono considerate le più belle, non hanno il super fisico, si vestono male, ma a loro piacciono. Insomma è più facile usare l’alcol come giustificazione di questo deragliamento che metterti a discutere della libertà di farti piacere chi ti pare. Per me è un po’ come Facebook. Non ci scrivo quello che penso, ma quello che lascio credere agli altri sia il mio pensiero e ancora di più costruisco lì l’immagine che voglio dare di me. È la finta apparenza, se non arrivi al meglio, almeno “fai finta di”. Non lo trovo degradante, non ci faccio caso ormai, però sì, è penoso. D’altronde devi difenderti. Soprattutto negli ambienti che frequenti sempre, devi mantenere un’immagine di serietà, devi stare attenta alle gattemorte, ai maschi che fanno i pettegolezzi su come sei vestita, se bevi troppo o se non bevi. Io per esempio mi stresso tanto perché, lo so, sono esuberante e non posso fare a meno di esserlo, però soffro se mi giudicano male. Ogni tanto mi dico “ma che palle” se devi essere seria ora, come farai a trent’anni? La maggior parte delle persone che conosco sono pesanti e moraliste. Tranne le mie amiche».
Davvero lo stereotipo sull’alcol come lubrificante sociale del desiderio sessuale in realtà riguarda più la generazione che il genere? Bere in pubblico, ubriacarsi, essere più disinibiti e sessualmente disponibili sono comportamenti vissuti e sentiti in modo paritario tra maschi e femmine, oppure discriminazioni, stereotipi e forme di sessismo sono reali e spesso persino accentuate sotto l’effetto dei cocktail?
Questo testo è un breve estratto de Il gioco della bottiglia. Il libro di Alessandra Di Pietro indaga il fenomeno del consumo alcolico tra i minori attraverso le storie dei diretti protagonisti e gli interventi dei maggiori esperti: psicologi, sociologi, epidemiologi, forze dell’ordine. Per maggiori informazioni potete cliccare qui.
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