La 'sparizione' dello studio minaccia la nostra società, scuole e le famiglie si stanno adeguando. Paola Mastrocola, nel suo ultimo saggio, racconta l'importanza delle ore passate a leggere e la necessità di scollegarsi per tornare a pensare: ecco perché oggi stare sui libri è rivoluzionariodi GIOVANNI CEDRONE
L'ideologia dell'antinozionismo, la fede nella tecnologia, l'edonismo della nostra società, la passione per il nuovismo e, per ultimo, anche la crisi economica. Sono questi, secondo la scrittrice Paola Mastrocola, i nemici dello studio. La teoria è contenuta in un agile pamphlet, "La passione ribelle" (Laterza, 2015), un testo che insegnanti e studenti dovrebbe avere sempre sul comodino. Ma che avrebbe potuto intitolarsi anche "L'elogio dello studio" o "Alla ricerca dello studio perduto". E' la denuncia della "sparizione dello studio": non studiano più gli insegnanti, non studiano i politici, che "passano gran parte del loro tempo ad andare in tv", e persino i ricercatori hanno sempre meno tempo da trascorrere sui libri.
Sul banco degli imputati, in primis, c'è proprio la scuola che, invece di essere "il tempio dello studio", è definita come "il tempio della finzione dello studio": gli insegnanti sono sempre meno esigenti e un'interrogazione, che un tempo sarebbe valsa un 4, oggi viene valutata con una sufficienza. Un appiattimento al ribasso frutto anche di un'evoluzione sbagliata del rapporto tra studenti, famiglie e istituzioni scolastiche. Dunque "Lo studio non seduce, non è cool", perché in fin dei conti "chi studia è uno sfigato". Lei stessa racconta come per molto tempo abbia cercato di non apparire studiosa ("infernale aggettivo che per anni ha pesato su di me", spiega) proprio perché è considerato sempre più un disvalore. Ma allora, si chiede con una punta di ironia, se ammiriamo l'impegno, lo sforzo, la fatica degli atleti, perché non avviene altrettanto con chi studia?
L'equivoco sta a monte: non si intende lo studio per quello che è davvero. Ecco allora che arriva una definizione precisa ed esaustiva, da manuale, di 'studio': "Stare seduti per ore in un luogo appartato, soli, scollegati da tutto il resto, con un libro aperto davanti, indugiando sulle parole, fino a memorizzare, cioè fino a quando quel che sta scritto nel libro non sia trasferito nel cervello e lì permanga se non per sempre, almeno il più a lungo possibile, e senza alcuno scopo immediato e concreto". Oggi è un vero e proprio gesto rivoluzionario: essere scollegati dalle chat, dal cellulare, dai social, e recuperare la bellezza della solitudine. Perché "solo se spegniamo ogni tanto le connessioni siamo di nuovo esseri liberi". E pensanti. Un altro dei mali odierni è proprio questo: non ci piace più dedicare parte del tempo della nostra vita a pensare dato che sta "scomparendo l'interiorità".
Alcuni di questi temi Mastrocola li aveva già affrontati nel volume "Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di non studiare" (Guanda, 2011), nel quale la scrittrice piemontese già polemizzava con una società che ci impone un modello culturale dove preparazione diventa sinonimo di nozionismo e ogni sforzo intellettuale assume valenza negativa. Del resto, come si evince anche dal passaggio autobiografico del libro, la storia della Mastrocola è la storia di una vita in larga parte dedicata allo studio della sua grande passione, la letteratura. Laureata in lettere all'Università di Torino con una tesi su Ungaretti e il petrarchismo, per oltre vent'anni ha insegnato al liceo scientifico Augusto Monti di Chieri (Torino). Dopo aver scritto testi teatrali per ragazzi, arriva al successo con "La gallina volante" (Guanda, 2000) che gli vale il premio Italo Calvino per l'inedito, il premio Selezione Campiello 2000 e il premio Rapallo Carige del 2001.
E così che il ragionamento della Mastrocola - passando da Pessoa , Kavafis, Thoreau, Seneca - si trasforma in un elogio della vita "slow", in un inno "alla solitudine buona, positiva" che si oppone inesorabilmente al "vortice" continuo di relazioni in cui siamo perennemente immersi. In tutto questo l'autrice non può che vedere un mondo in declino e rimpiangere il tempo "in cui i maestri ne sapevano molto più di noi". Un declino e un pessimismo che, ricorda, forse è tipico di tutte le epoche, se anche il grande Eugenio Montale, fresco di Nobel nel 1975, sottolineava che "Non c'è scampo... La crisi è dappertutto". C'è solo una soluzione per provare a cambiare le cose e non farsi risucchiare dal flusso della modernità: studiare. E' l'unico atto di ribellione possibile, l'unico modo "per allungare il viaggio" e "rallentare le lancette", l'unico gesto che ci mette in relazione con il pensare.
Studiare, però, in un modo nuovo e allo stesso tempo antico, riprendendosi quelle libertà di cui oggi siamo privati: quella di leggere libri interi, di soffermarsi su un libro tutto il tempo che si vuole, la libertà di stare fermi su un solo argomento, di non produrre nulla e di passare da un testo all'altro seguendo il filo del proprio ragionamento. In pratica un elogio dell'otium inteso, alla maniera degli antichi, come tempo creativo. Concetto simile a quello espresso nel 1935 dal filosofo Bertrand Russell che, come l'economista Keynes, arrivava all'utopia di una società in cui si possa scegliere di ridurre le ore di lavoro "per sfruttare con intelligenza il proprio tempo". Così il ragionamento sulla scomparsa dello studio si trasforma in un manifesto per una nuova società, o meglio per un diverso modo di vivere alternativo alla frenesia della modernità. Proprio alle persone che scelgono di vivere lo studio in modo così pieno, appassionato, vero e totalizzante è dedicato questo libro: "Chi studia è sempre un ribelle - scrive Mastrocola nella dedica iniziale - . Uno che si mette da un'altra parte rispetto al mondo e, a suo modo, ne contrasta la corsa. Chi studia si ferma e sta: così, si rende eversivo e contrario".
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