mercoledì 23 settembre 2015

PICCOLE RIFLESSIONI - UN ARTICOLO SEGNALATO

La diversità come paradigma dell'uomo



Immagine: Eticamente.net


La definizione “diversità culturale” è una locuzione polisemica, esposta a molte possibili interpretazioni, quale espansione emotiva e concettuale che comporta un arricchimento, un dialogo, un incontro, uno scambio reciproco.[1] La diversità nasce da riconoscersi diversi nella philia, nel valore della relazione, per cui dopo l'incontro è possibile sapere di un altro pensiero, di un altro linguaggio, di un altro sguardo, ingenerando, contemporaneamente, cambiamento nell'altro che è incontrato. Il riconoscersi, nel disconoscersi dell'incontro, restituisce momenti di felicità intima, perché ognuno cambierà diventando se stesso e declinandosi nell'altro.

Questa civiltà delle relazioni umane è uno stile e un ethos aperto alla totale comprensione delle condotte, dei comportamenti, dei riti e delle emozioni dell’altro, che ha i suoi fondamenti nella dignità della cultura della persona umana, nel valore dell’incontro e del dialogo nelle agorà e nelle poleis greche antiche, nel messaggio biblico ebraico e cristiano, nella cultura rinascimentale, con una forte etica della responsabilità e del riconoscimento nella diversità dell'altro da sé.

L'idea di un Occidente universale è ingenua e profondamente errata. Le costruzioni più alte della cultura occidentale sono state prodotte al termine diguerre drammatiche, di rivolte interiori contro se stessi, di intime lotte contro la propria volontà di potenza, contro la propria identità, in un arcipelago di lingue e culture aperte e diffrangenti, in un crogiuolo di differenze e alterità che si incontrano, si accordano, si oppongono, producendo sempre l'imprevedibile delle pluralità irriducibili, nell’interscambio reciproco, nell'armonia di un mondo di tensioni e conflitti in ordini di relazioni spontanee di donne, uomini e società, nelle tradizioni, nelle reti delle comunità, nelle dinamiche di cooperazione, nelle interazioni virtuali e reali.

Il totalitarismo trova terreno fertile nella società massificata, nel sentimento di estraniazione e alienazione che dissolve non solo i legami sociali, ma lo stesso rapporto con la realtà.[2] Le diversità culturali aprono l'orizzonte delle pluralità umane nel distinguersi delle singolarità dei soggetti che agiscono e che pensano. Le soluzioni politiche, che prescindono dall'infinita molteplicità delle esperienze umane e delle forme di vita, generano spinte totalitarie che distruggono le tradizioni esistenti ed esasperano i conflitti delle società.

Il riconoscimento della diversità, in opposizione ad una concezione olistica e totalitaria, potrà impedire la negazione delle differenze stesse. Nei poemi omerici, la pietas per i vinti è la rappresentazione della pluralità interna dell'uomo. La Commedia di Dante attraversa le fonti bibliche, virgiliane e tomiste, comunicando e parlando alle culture di tutte le epoche e di tutti i luoghi con ricchezza polisemica, polilinguistica, nella varietà delle ambientazioni e dei personaggi, rappresentando un paradigma della diversità culturale umana.

Lo straniero non ha un luogo, non si sente mai a casa propria, coinvolto in un'appartenenza fragile e ambigua dell'essere altrove, nella volontà di non essere assimilato, nell’erranza, dove il singolare ed il molteplice tornano ad unirsi in una pluralità irriducibile. Il dominio totale ed ogni forma di totalitarismo non permettono libertà di iniziativa. L'ideologia totalitaria non consente la trasformazione dell'esistenza umana e la riorganizzazione rivoluzionaria della società, perché nega le diversità culturali, in quanto orizzonte della pluralità umana stessa. Le risoluzioni politiche dei problemi umani, che non tengono presente l'infinita e poliedrica molteplicità delle esperienze viventi, ingenerano processi totalitari che annientano le tradizioni, gli usi e i costumi ed esasperano i conflitti sociali, nella pianificazione politica e culturale delle istituzioni.

La diversità culturale autentica vive nelle relazioni interpersonali spontanee, nei canali dialogici, negli stili di vita, per la valorizzazione di una società ricca di differenze, di varietà e diversità in un mondo multirazziale e multilaterale, nell’insieme di valori che prevedono i diritti inalienabili e imprescindibili delle persone, sanciti dalle carte costituzionali democratiche, con una limitazione del potere politico, nella libertà della ricerca scientifica e della creazione artistica.

Il presupposto ed il fondamento della diversità culturale è la persona, in quanto singolarità irripetibile da cui si realizzano la famiglia, le comunità, le associazioni, le istituzioni e le relazioni umane. La storia del potere è costituita da centralizzazione, uniformazione ed espansione burocratica, di centri unici di comando, nel confine e nel limite che disconoscono il valore della diversità, nella concezione di un’uniformazione e un’omogeneità costituita di politiche piramidali. Occorre una pluralità di sovranità, in un'unione libera di persone e comunità che rispondano ai problemi della crisi del potere. Le diversità risultano fondate sulla singolarità della persona in una cultura relazionale e istituzionale delle molteplicità, che distolga il concetto di periferia e di centro in nome di un radicale cambiamento, di un ampliamento policentrico.

L'uniformazione delle culture e dei popoli contrasterebbe l'evoluzione dell'umanità, mentre la differenziazione, la multilateralità, l'apertura al mondo, sono valori imprescindibili. La relazione è amore delle complessità culturali opposte alla brutalità del totalitarismo politico, filosofico e scientifico, nel dramma del conflitto tra i dogmi totalitari e il pensiero della pluralità. Un ordine totalitario fondato sull'egemonia di un partito, di una classe, di una nazione, si alimenta con l'odio per le complessità, nell'unificazione forzata delle diversità, dei popoli, delle genti, delle minoranze.

Al totalitarismo noi opponiamo l'amore per le diversità, nella pace.


[1] Cfr Maldonato M., La diversità culturale come patrimonio e paradigma dell’umanità.

[2] Arendt H., Le origini del totalitarismo, 1951

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