Lectio magistralis del professor Sabatini nell’ambito del ciclo di iniziative «Dialoghi oltre le due culture» presso l’ateneo della Seconda università di Napoli
di Francesco Sabatini *
La febbre delle lingue ci ha pienamente raggiunti. Intendo le lingue straniere, che poi per il 90% degli italiani si riducono all’inglese. Eravamo il Paese degli indifferenti, anzi renitenti a questo tipo di apprendimento; ora corriamo tutti ai richiami di ogni genere su questo argomento, soprattutto per il pensiero, prevalente nei giovani, di dover trovare lavoro all’estero. Dunque, siamo sensibili più che altro a un aspetto pratico connesso allo studio delle lingue. Meno male che funziona questa molla e pazienza che tutto si riduca a quella lingua, scelta che rimpingua fortemente l’economia dei principali Paesi anglofoni: perché la lingua è anche una merce, che fa parte dell’export/import, direttamente e attraverso tutti i suoi indotti. (Solo noi non consideriamo la nostra lingua sotto questo aspetto). Fin qui il mio discorso riguarda, più che altro, la bilancia dei pagamenti tra Paesi.
Il resto del discorso si svolge, invece, dentro i nostri confini e riguarda, anzi, gli sforzi che deve compiere il singolo individuo. Entriamo, insomma, nella sfera dei processi di apprendimento delle lingue straniere, un campo di ricerche ormai specifico e di sperimentazioni continue. Un paio di punti sono al centro di tutti i dibattiti in materia: che procedimento si vuole seguire, di tipo «naturale» (con forte immersione nella comunicazione) o anche con studio riflesso? Che rapporto si instaura con la lingua «uno», la lingua già posseduta? Veramente il quadro è più complesso se teniamo conto di un inizio molto precoce dell’esposizione dell’individuo alla seconda lingua, che non sarebbe nemmeno più «seconda» se viene fornita già nell’asilo nido e nella scuola dell’infanzia; a prescindere dai casi di bilinguismo in famiglia. Restringiamo, in questa sede, il tema all’apprendimento delle lingue straniere dall’inizio dell’età scolare in poi: quando cioè all’apprendimento di un’altra lingua si vuol dare un obiettivo «alto», che preveda capacità di comprensione e di produzione di testi, soprattutto scritti, via via più complessi, di qualsiasi ambito, professionale o culturale-scientifico. Dover interpretare (se non anche redigere) una comparsa legale in una lingua straniera non è un caso raro.
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