I Giusti sono semplicemente delle persone normali che posti di fronte all’ingiustizia reagiscono sapendo opporsi anche a rischio della propria vita. Sono i non ebrei che durante la Shoah salvarono la vita di almeno un ebreo senza trarne alcun vantaggio personale. La loro esistenza stessa dimostra che anche nelle situazioni peggiori, in cui l’assassinio era diventato legge di stato e il genocidio parte di un progetto politico, è comunque sempre possibile per tutti gli esseri umani fare delle scelte alternative.
Esiste un racconto della tradizione ebraica che da un vestito a queste persone, che ne fotografa l’immagine e il modo di pensare: “ . . . esistono sempre al mondo 36 Giusti, nessuno sa chi sono e nemmeno loro sanno d’esserlo ma quando il male sembra prevalere escono allo scoperto e si prendono i destini del mondo sulle loro spalle e questo è uno dei motivi perché Dio non distrugge il mondo”. Finito questo periodo hanno la capacità e l’umiltà di tornare tranquillamente alla vita normale di tutti i giorni, non raccontando nulla di quanto fatto, per un semplice motivo: ritengono d’aver fatto solo il proprio dovere di uomini, nulla di più e nulla di meno.
E chi compie il proprio dovere non deve avere una ricompensa. Questa è uno dei motivi per cui molte storie di Giusti sono uscite con estremo ritardo e per caso in quanto mai raccontarono le loro avventure.
Due sono i requisiti per avere questo riconoscimento: il primo aver salvato la vita di un ebreo durante gli anni terribili della Shoah, il secondo che la storia, la vicenda non può essere raccontata da loro ma solo da persone terze, essenzialmente i salvati. Se la raccontassero loro non sarebbero dei Giusti ma semplicemente degli eroi. Importante è questa sottile differenza: il Giusto è un eroe con un piccolo grande valore aggiunto dato dalla capacità di “dimenticare” quanto fatto, mentre un eroe di quanto ha fatto ci vive tutta la vita, se ne vanta, ne trae profitto.
Il Giusto non è la persona che si volta dall’altra parte quando vede il dolore, indifferente a quanto succede perché non lo riguarda. E’ la persona che si fa carico della sofferenza altrui cercando con tutti mezzi di aiutare gli indifesi e i perseguitati. Una sorta di “banalità del bene” intendendo questa espressione come la capacità di riconoscere e di opporsi al male al di la e al di sopra d’ogni ideologia.
Una sorta di dicotomia con “la banalità del male”, titolo di un importante libro di Anna Arendt, studiosa tedesca che ricostruì la vita e la psicologia di Adolf Eichmann, il tristemente famoso organizzatore delle deportazioni verso i campi di sterminio. Catturato dopo la guerra nel 1960 in Argentina ove si era rifugiato, portato a Gerusalemme venne giudicato e condannato a morte. La sua difesa consistette nell’affermare che aveva solo obbedito agli ordini. Gli ordini erano di organizzare al meglio le deportazioni degli ebrei e lui li aveva tranquillamente eseguiti. Appunto, la banalità del male.
Raccontare ai ragazzi la Shoah, lo sterminio premeditato di 6 milioni di cittadini europei di religione ebraica è fondamentale ma se accanto a ciò trasmettiamo le storie di persone normali che seppero dire no, seppero opporsi anche a rischio della propria vita, trasmettiamo un importante valore positivo e cioè che ognuno di noi qualcosa può e deve fare per impedire odio e violenza.
Nonostante lo straordinario messaggio morale universale rappresentato dalla foresta di Gerusalemme, l’idea di rendere omaggio ai Giusti è rimasta per troppo tempo limitata esclusivamente alla memoria della Shoah.
E’ importante, invece, immaginare una grande foresta mondiale a ricordo di tutte gli uomini che nel nostro secolo hanno cercato di reagire nei confronti dei crimini contro l’umanità. Il Novecento è stato il secolo di un genocidio infinito, cominciato con l’annientamento di un milione e mezzo di armeni nel deserto della Mesopotamia, proseguito con la morte di milioni di uomini nei gulag staliniani e nelle campagne cinesi, marchiato dall’immagine della Shoah, di quasi 6 milioni di ebrei scomparsi nelle camere a gas, e poi da nuovi genocidi in Cambogia e Rwanda e terminato con le macerie della pulizia etnica nei territori dell’ex Jugoslavia.
E il 9 dicembre del 1948 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite approvò all’unanimità la “Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio” considerato il più grave crimine contro l’umanità.
Nessun commento:
Posta un commento
se vuoi lascia un commento