domenica 24 gennaio 2016

Quando il bullismo a scuola c’era e non si voleva vedere

Non sarà “politically correct'”, non sarà diplomatico, non piacerà a qualcuno, ma pazienza, i vecchi rospi sono indigesti, ogni tanto vanno sputati: la mia classe del liceo faceva schifo.

Pochi sparuti maschi, purtroppo in netta minoranza rispetto ad una maggioranza femminile che variava dalla racchia timidina (come me), alla stordita silenziosa, alla disadattata inconsapevole, all’introversa ombrosa, all’eterna “Pasqua rosa”, all’aliena alienata, all’insicura senza personalità, alla secchiona che non suggeriva mai, alla santarellina un tanto al chilo, all’arpia sadica, alla ‘super partes’ per ignavia, alla iena incallita, alla finta disinibita, all’acida invidiosa, alla cessa convinta di essere una figona e alla “donna vissuta”.

Fratture, chiusure, mini-gruppetti, comunelle e atti di bullismo erano quindi “inevitabili”.

Come quella volta in cui il gruppetto delle arpie costruì il “muro di Berlino”: una fila di banchi sormontata da un’alta pila di cappotti e piumini, destinata ad isolare le sfigate della classe, ovvero quelle timide, quelle che non avevano mai avuto un fidanzato, quelle che non fumavano e che non si truccavano (come me).

O come quando, per ammazzare la noia, il gruppetto delle bullette insoddisfatte nascondeva “anonimi” biglietti offensivi o minatori negli astucci e nei diari delle “altre”.

O ancora come quella volta in cui la “finta disinibita” e “la senza personalità” tentarono invano di scacciarmi, prima con le buone, poi con le cattive, dai banchi faticosamente conquistati ed occupati il primo giorno di scuola, perché “loro” avevano già deciso i posti, e quello non era il mio.

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