I motivi sono diversi. La vicepresidente Gualmini: “Cambiano le esigenze delle famiglie, devono cambiare anche le risposte”
In Emilia-Romagna, per la prima volta dal 1971, i posti al nido superano le richieste. Un fatto dettato da motivi anche molto diversi tra loro: alcune famiglie, complice la crisi, rinunciano a iscrivere il proprio figlio, altre non possono usufruire di una struttura facilmente raggiungibile. Una fotografia che fa nascere molte domande: chi e perché rinuncia al nido? Chi e perché non trova posto nei nidi comunali? Chi si occupa dei servizi educativi? Cosa sta succedendo in Emilia-Romagna? A questi interrogativi ha provato a rispondere ‘Educare i bambini, quante domande...’, organizzato nella Sala Biagi del Baraccano dall’associazione BolognaNidi. “Non stiamo vivendo nulla di traumatico – ha spiegato l’assessore regionale al Welfare Elisabetta Gualmini –. Le istituzioni devono essere brave ad adeguarsi ai cambiamenti della società. Se i bisogni cambiano, le risposte devono cambiare. Che poi altro non è che quello che andrebbe sempre fatto”. Gualmini parla della crisi che ha colpito le famiglie, riducendo il loro reddito: “In attesa della ripresa, è bene interrogarsi su quali siano le scelte più adatte”. Il welfare aziendale potrebbe essere una soluzione? “L’Emilia-Romagna a oggi non ha bisogno di nuovi posti, ma tutte le esperienze che integrano aspetti diversi sono le benvenute, se rispettano gli standard qualitativi che la Regione ritiene indispensabili. Senza chiaramente sostituirsi al pubblico, che rimane il soggetto fondamentale, chiamato anche a controllare su tutte le realtà”. L’assessore chiede che non si estremizzi il dibattito tra pubblico e privato: “Nella nostra Regione convivono da 20 anni, e sono molto bene integrate. Mi preoccupano molto l’arroccamento e l’autoreferenzialità. Noi vogliamo tenere il welfare sotto il controllo pubblico, questo deve essere chiaro a tutti”.
Riduzione dell’utenza, posti vuoti, messa in discussione della qualità: non era mai successo in 40 anni. Da qui parte l’analisi di Cristiano Gori, docente dell’Università Cattolica di Milano. “Nessuno se l’aspettava: quali conseguenze dobbiamo prevedere? Nel centro-nord c’è tutta una fascia di famiglie che non manda i bimbi a scuola: né abbastanza ricche per tenerli a casa, né abbastanza povere per usufruire di percorsi agevolati. Intanto, la qualità viene messa in discussione, così come il prezzo, giudicato – a mio parere a torto – sempre troppo alto”. Gori chiede una nuova politica nazionale, l’unica realmente in grado di cambiare la situazione attuale: “Ma la Regione, se vuole, può scegliere di investire in questa direzione. Non si può chiedere alla Regione di sostituirsi allo Stato, ma si può suggerire una presa di posizione. L’attuale Governo, va detto, se di povertà e di non autosufficienza non si occupa, di minore età sí. Stiamo a vedere”.
“In Regione, per la gestione dei nidi, il sistema normativo è adeguato, ma con ampi margini di miglioramento”, spiega Silvia Nicodemo, docente dell’Università di Bologna. “Per garantire qualità, serve un adeguato sistema di valutazione: la Regione ha predisposto linee guida. Poi, si chiede universalità a costo sostenibile, come indicato anche nella Buona scuola. Infine, è necessario valorizzare il potenziale educativo del nido anche in un’ottica di integrazione tra pubblico e privato. Ma, come detto dell’assessore, il pubblico deve restare l’interlocutore principale”.
“Siamo in una fase di profondo cambiamento – sottolinea Gualmini –. E noi dobbiamo procedere cambiando, senza dimenticare che il nostro ragionamento ha al centro la difesa dei diritti dei bambini. Quando sono arrivata in Regione, ho visto uno squilibrio nella gestione delle risorse, a favore di anziani e disabili. Premesso che non taglierò un euro al fondo per la non autosufficienza, vorrei che ora ci si concentrasse un po’ di più sulla fascia 0-6. Perché è da lì che parte il futuro. Detto ciò, lo ribadisco, serve adeguarsi ai cambiamenti”. E fa l’esempio delle famiglie straniere, particolarmente refrattarie a iscrivere i bimbi al nido; o delle mamme che lavorano e che chiedono ai nidi una grande flessibilità, e che magari alle agevolazioni preferiscono i voucher per la babysitter. “Io non ho una soluzione preconfezionata in tasca. Ma dobbiamo impegnarci per trovare soluzioni attuali e sostenibili”.
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