sabato 9 aprile 2016

#25NOVEMBRE - Le registe che hanno cambiato la storia del cinema, e che forse non conoscete


Solo il 7% dei 250 film di maggior successo (economico) di tutti i tempi è stato diretto da una donna e un solo Oscar per la regia è stato assegnato a una donna. Eppure sono molte le registe che hanno creato, innovato, rivoluzionato il cinema, soprattutto quello delle origini. Una storia, la loro, che ancora aspetta di essere raccontata e di cui qui vi presentiamo solo alcune delle protagoniste (nella foto, Ida Lupino, ndr)...

Solo il 7 per cento dei 250 film di maggior successo (economico) di tutti i tempi è stato diretto da una donna e un solo Oscar per la regia è stato assegnato a una donna (nel 2010, a Kathryn Bigelow, per The HurtLocker). Eppure sono molte, moltissime, le registe che hanno creato, innovato, rivoluzionato il cinema, soprattutto quello delle origini. Una storia, la loro, che ancora aspetta di essere raccontata e di cui qui vi presentiamo solo alcune sue protagoniste.
Alice Guy-Blaché (1873-1968)


Fino al 1906, è probabilmente l’unica regista al mondo, prima in Francia, per la Gaumont, e poi in America, con la casa di produzione Solax, a Fort Lee, nel New Jersey, che lei stessa crea (anche qui, prima donna a farlo). I suoi film trattano temi contemporanei (il matrimonio, l’uguaglianza tra i sessi, il lavoro) e lo stile è sempre realistico: «Be natural» è infatti la scritta che campeggia sui muri dello studio. È anche autrice del primo film con un cast interamente formato da neri e una pioniera della sincronizzazione suono-immagine.

Da vedere: La Fée aux Choux (1986, considerato il primo film «narrativo»);Les résultats du féminisme (1906); La Naissance, la Vie et la Mort du Christ (1906), FallingLeaves (1912). Degli oltre mille film da lei realizzati, ne rimangono solo 150.
Elvira Notari (1875-1946)


È la prima regista italiana, attiva dal 1906 al 1930 e molto prolifica (centinaia di documentari – tutti perduti – e 60 film). Abile narratrice di melodrammi (diversi suoi film sono ispirati a canzoni popolari) e influenzata dalla letteratura verista (Verga, Deledda, ma soprattutto Matilde Serao, con cui collaborò e che non volle mai essere pagata per i suoi «soggetti»), gira i suoi film nei vicoli napoletani con una tale aderenza alla realtà da scontrarsi con la censura, che considera inammissibile mostrare certe «bassezze» del popolo italiano. A metà degli anni ’20, la sua casa di produzione, la Dora Film, apre un ufficio a New York, per la gioia degli emigranti italiani che, fino ad allora, erano stati costretti a importare clandestinamente i suoi film.

Da vedere: Chiarina la modista (da un romanzo di Carolina Invernizio) (1919), ’A Santanotte (1922), Gennariello, il figlio del galeotto (1921)
Lois Weber (1879-1939)


Pena di morte, emancipazione femminile, contraccezione, droga: Weber affronta questi temi senza paura, con un linguaggio straordinariamente moderno. Prima regista americana a girare un lungometraggio (The Merchant of Venice, dall’opera di Shakespeare, oggi perduto), prima donna ammessa nella Motion Picture Directors Association (nel 1906), prima regista americana a girare film sonori, all’apice della sua carriera, nel 1916, Weber è anche la regista meglio pagata di Hollywood: cinquemila dollari a settimana (più di centomila dollari di oggi).

Da vedere: Suspense (1913) Where are my children? (1916), The People vs. John Doe (1916), The Hand That Rocks the Cradle (1917), The Blot(1921)
Dorothy Arzner (1897-1979)


«Le donne non hanno abbastanza coraggio per diventare registi!» Pare che sia stata questa frase di un’amica a convincere Dorothy Arzner a dare una svolta alla sua carriera (era stata la prima montatrice accreditata nei titoli di testa di un film). Esordisce con Fashions for Women (1927)e ha subito successo: tra il 1927 e il 1943 gira altri 3 film muti e 14 sonori, diventando così la più prolifica regista di Hollywood, cosa resa ancora più eccezionale dal fatto che era omosessuale. In occasione di una cerimonia organizzata dalla Directors Guild of America (Arzner era stata la prima donna a esservi ammessa), Katharine Hepburn (da lei diretta in La falena d’argento) le scrisse: «Non è magnifico che tu abbia avuto una carriera così straordinaria dato che non avevi neppure diritto ad averla, una carriera?»

Da vedere: La falena d’argento (1933), La moglie di Craig (1936),Sacrificio supremo (1943)
Leni Riefenstahl (1902-2003)


«Ho filmato la verità quale era allora. Niente di più.» Questa «verità» si chiama anzitutto il Trionfo della volontà, e descrive i sette giorni (4-10 settembre 1934) del raduno di Norimberga del partito nazionalsocialista, e poi Olympia, un altro documentario, sulle Olimpiadi di Berlino del 1936. Due straordinari film di propaganda e una straordinaria regista, capace di legare la macchina da presa a un pallone aerostatico per avere una prospettiva dall’alto, di gestire ben 18 cameraman contemporaneamente, di usare angolazioni e luci estreme per trarre il massimo dalla «verità». Le polemiche su di lei non si spegneranno mai, ma la forza della sua visione continua a influenzare il cinema, come dimostrano, per esempio, la sequenza di apertura del Re Leone e la scena finale di Star Wars – Episodio VI.

Da vedere: Il trionfo della volontà (1934),Olympia (1938), Tiefland (1954)
Ida Lupino (1918-1995)


Nasce a Londra (sotto un tavolo, durante un raid degli Zeppelin), esordisce nel cinema a 15 anni e, arrivata a Hollywood nel 1933, s’impone come una delle attrici più intense degli anni ’30-’50. Ma anche come una delle più ribelli, pronta a rifiutare una parte se la ritiene «poco dignitosa» e a pagare – con una sospensione – il prezzo della sua scelta. Ed è proprio durante una di queste «punizioni» che s’interessa alla regia: girerà in tutto sei film con la sua casa di produzione indipendente, la Filmaker, tra la diffidenza generale (nessuna attrice prima di lei era passata dietro la macchina da presa), schiaccianti difficoltà economiche e aspre controversie per gli argomenti trattati (dallo stupro alla segregazione razziale). E, all’inizio degli anni ’60, sarà anche una delle prime registe televisive.

Da vedere: NeverFear (1949), La preda della belva (1950), La grande nebbia (1954)
Chantal Akerman (1950-2015)


«Il primo capolavoro femminile della storia del cinema», scrive il New York Times all’uscita di Jeanne Dielman, 23, quaidu Commerce, 1080 Bruxelles nel 1975.Un film iperrealista, che racconta tre giorni della vita di unadonna sola, per la quale pulire la casa, cucinare o prostituirsi (per provvedere al figlio sedicenne) hanno la stessa, straziante meccanicità. Un esemplare esperimento filmico, per riflettere sugli equilibri che governano l’esistenza (e sulla loro rottura) con assoluta partecipazione, nonché un precursore di quell’ansia del «real time» che segna tanto cinema attuale.E un’eredità ancora visibile, per esempio in Carol(Haynes, 2015), candidato a sei Oscar e vincitore, a Cannes 2015, del premio per la migliore interpretazione femminile (Rooney Mara).

Da vedere: Je, tu, il, elle (1976), Un divano a New York (1996), La captive – La prigioniera (2000)

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